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Il cinema non è solo intrattenimento. Ha anche un ruolo sociale, ci insegna Francesco Rosi

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Pur avendola lasciata quando era poco più che ventenne, Francesco Rosi mantenne negli anni un intenso legame con Napoli, la sua città. Dopo una lunga esperienza al fianco di Visconti, Zampa e Antonioni come aiuto regista, Rosi debuttò nel 1958 con La sfida, il suo primo lungometraggio, ambientandolo nel capoluogo campano, dal mercato ortofrutticolo nei pressi di via Marina ai quartieri residenziali sulla collina di Posillipo. A Vito Polara, contrabbandiere di sigarette, aveva affidato il ruolo di riflettere il saldo intreccio tra capitalismo e criminalità organizzata, attento alla denuncia sociale del Paese. “Erano quelli i tempi in cui ancora credevamo che denunciare all’opinione pubblica certi mali significasse in qualche modo combatterli e forse eliminarli”, racconta Raffaele La Capria, amico d’infanzia e sceneggiatore di alcune delle pellicole più famose di Rosi. “Il cinema sembrava l’arma più efficace per raggiungere questo scopo e, da questa convinzione fortemente radicata, come tante altre che allora nutrivamo, sono nati molti dei suoi film più belli”.

Nel 1963, dopo aver giratoI magliari in Germania e Salvatore Giuliano in Sicilia, Rosi scelse di tornare a raccontare Napoli, per denunciare la corruzione e la speculazione edilizia italiana. È dalle colline intorno a Napoli che inizia Le mani sulla città, quando Edoardo Nottola, consigliere comunale e costruttore edile, spiega ai suoi collaboratori il nuovo progetto di espansione edilizia voluto dalla giunta, in contrasto col piano regolatore, ma capace di far guadagnare il “cinquemila percento di profitti”. Nel frattempo, però, un cantiere della Società Bellavista, diretta da Nottola, provoca il crollo di una vecchia abitazione in via Sant’Andrea, in cui restano ferite numerose persone. L’incidente spinge il consigliere comunale De Vita a chiedere l’avvio di un’inchiesta sulla speculazione edilizia della città, che terminerà in un nulla di fatto.


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