top of page

Il razzista odia gli altri perché odia se stesso, ci disse Sartre

giuspor25

Dal giugno 1940 al marzo dell’anno successivo, Jean Paul Sartre – che all’epoca aveva già raggiunto una riconosciuta autorevolezza come intellettuale, drammaturgo, scrittore e filosofo – venne fatto prigioniero e internato nello stalag XII D di Hinzert, un campo di concentramento vicino alla città di Treviri, in cui furono rinchiusi intellettuali e lavoratori tedeschi accusati di avversare le politiche naziste. Grazie a un medico che gli riconobbe l’invalidità, dovuta alla cecità a un occhio, e a un documento d’identità contraffatto, riuscì a farsi liberare e a partecipare alla resistenza francese. Entrò nella redazione di Combat, il cui editore era il suo amico Albert Camus, per contrastare la Repubblica di Vichy, militarmente neutrale ma di fatto Stato satellite del Terzo Reich. ”La guerra ha diviso in due la mia vita,” scriverà poi.

Inscindibile dall’esistenza, la guerra mutò anche il suo pensiero, e in una celebre conferenza dell’ottobre 1945 – durante la quale si racconta che svennero molte persone per via della calca accumulata nella piccola sala riservata – Sartre elaborò la “morale impegnata” del nuovo esistenzialismo, distante dal pessimismo che aveva caratterizzato L’essere e il nulla, la sua opera precedente. In quella sede, Sartre spiega di essere convinto che l’essere umano trovi la sua massima realizzazione nell’impegno sociale e politico verso il miglioramento della propria e dell’altrui condizione.


Continua a leggere su The Vision.

Comments


bottom of page