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L'indifferenza alle ingiustizie è il male più grande, ci disse Primo Levi

giuspor25

All’apparenza un uomo qualunque, nessun segno particolare. Si chiama Lorenzo Perrone ed è stato inviato al campo di lavoro di Monowitz – collegato ad Auschwitz – dalla ditta piemontese Boetti, che aveva accettato l’incarico di svolgere alcuni lavori necessari per il suo allargamento. È l’estate del 1944, di mestiere fa il muratore. Avvicinato da un detenuto, scopre le terribili condizioni a cui i nazisti sottopongono i deportati e decide di impegnarsi a salvarlo, con quel poco che può: ruba del cibo, un maglione caldo, intrattiene la corrispondenza con la sua famiglia, addirittura riesce a consegnare un pacco contenente cioccolata, latte in polvere e biscotti. Lo fa senza chiedere nulla in cambio, a differenza della maggior parte delle figure che abitavano il lager, come verrà raccontato in seguito. Anni dopo, quando il lager verrà chiuso, quello stesso detenuto scriverà: “Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro”. Quel detenuto era Primo Levi.


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