
Il 10 giugno 1974 Pier Paolo Pasolini esordì, dopo più di un anno di collaborazione, sulla prima pagina delCorriere della Sera con un articolo intitolato “Gli italiani non sono più quelli”, scritto dopo il referendum sul divorzio. La vittoria dei voti contrari all’abrogazione aveva portato Pasolini a sottolineare come ciò non costituisse un successo del laicismo, del progresso e della democrazia, ma la dimostrazione che i ‘“ceti medi” fossero radicalmente cambiati: i loro “valori positivi” erano scomparsi.
A sostituirli – e a rimpiazzare una certa arretratezza culturale bigotta che Pasolini, in quanto omosessuale, conosceva, ma che evitò di nominare – era un nuovo potere transnazionale che portava con sé una “ansiosa voglia di uniformarsi” e che riguardava tutti: borghesia e popolo, sottoproletari e operai. Un potere interclassista, riflesso tanto nell’aspetto fisico quanto nelle coscienze dei giovani. La forza espansiva del modello americano aveva condizionato le scelte di vita e imposto nuovi prodotti sul mercato nazionale. Soprattutto, aveva creato nuove abitudini familiari, nuove forme di intrattenimento e un nuovo uso del tempo libero. La gente incominciò a pensare non solo a come vivere, ma anche a come godersi la vita.
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