
Tra il 20 e il 21 luglio 1969, circa 900 milioni di persone, tra cui venti milioni di italiani, passarono la notte davanti alla televisione per seguire il primo passo dell’uomo sulla Luna. La diretta televisiva della Rai, condotta da Tito Stagno, fu una delle più lunghe e accurate d’Europa, con centocinquanta ospiti in studio e continui collegamenti con Ruggero Orlando, il corrispondente dagli Stati Uniti. Piero Angela, allora giornalista Rai impegnato nella serie di documentariIl futuro nello spazio, aveva già assistito a cinque partenze del progetto Apollo e si preparava a seguire la sesta da un albergo di New York. “Agli operatori che mi accompagnavano chiesi di ignorare il lancio e di riprendere le facce del pubblico. Ciò che notai fu l’emozione, quasi fisica, che riguardava indistintamente i parenti degli astronauti quanto gli estranei. Vidi gente piangere senza ragione”, ricorda Angela.
In un articolo pubblicato il giorno successivo sul quotidiano La Stampa, intitolato La luna e noi, Primo Levi marcava però una netta differenza fra lo stupore degli addetti ai lavori e quello dei cittadini comuni, notando come l’avvicendarsi delle tecnologie e delle grandi conquiste avesse assuefatto larga parte del pubblico, inibendo la sua capacità di meravigliarsi. “Noi molti, noi pubblico, siamo ormai assuefatti, come bambini viziati: il rapido susseguirsi dei portenti spaziali sta spegnendo in noi la facoltà di meravigliarci, che pure è propria dell’uomo, indispensabile per sentirci vivi. […] peccato, ma questo nostro non è tempo di poesia:non la sappiamo più creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono al di sopra del nostro capo”.
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