
A partire dal 1388, affinché venisse agevolato il trasposto dei blocchi di marmo provenienti dal Lago Maggiore necessari per la costruzione del Duomo di Milano, via Laghetto divenne una sorta di porticciolo destinato, com’è ovvio, alla movimentazione di merci di vario genere. Si navigava fino alla chiesa di Santo Stefano e poi, via terra. Al marmo, negli anni, si sostituirono prima la legna e successivamente il carbone, fino al 1857 quando l’Imperatore d’Austria decise di interrare lo specchio d’acqua per motivi igienici legati alla presenza, nelle immediate vicinanze, dell’Ospedale Maggiore, ora sede dell’Università degli Studi.
Nonostante al giorno d’oggi via Laghetto si sia aggiunta alla terraferma e non necessiti più di un ponticello per raggiungerla, non ha smesso di esplicare la sua funzione di porto. Certo, la merce è un po’ diversa ma d’altrettanta importanza e la si riesce a declinare in tre modi: cultura, senso di appartenenza e gentilezza. Perché Colibrì, che in questa storia funge da pontile d’attracco, è prima di tutto un luogo gentile, in cui sentirsi a proprio agio. Mi accoglie Arianna, un libro capovolto poggiato accanto alla cassa. Maria arriva dopo pochi minuti. Nel cortile interno un gruppetto di ragazzi festeggia la laurea di un’amica, sui tavolini interni altri studiano. Un pianoforte a muro con i tasti coperti. Mi racconta che fino a qualche mese fa quel posto era una casa privata di proprietà sua e del fratello Giovanni. “Le stanze al piano di sopra vengono affittate ancora mentre questo spazio era usato per delle esposizioni, ma ci sembrava restasse sprecato. Abbiamo pensato a come sfruttarlo al meglio, a come mantenerne la bellezza e l’identità di luogo d’incontro che è sempre stato ed è lì che è nata l’idea di farne un caffè letterario”.
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