
Ci si ritrova al buio nel piccolo anfiteatro realizzato dallaTriennale di Milano, in un’intimità rapida a nascere e temporanea, come fosse una cena da amici al ritorno dalle vacanze, seduti sul divano a guardare le diapositive del viaggio, che in questo caso mostrano l’opera ‘sacra’ di Nan Goldin. Quella che passa sullo schermo è la passione ardente delle New York, Boston, Londra e Berlino degli anni ’80 vissuta da artisti, artistoidi, musicisti, attori incontrati nella frenesia dei grandi cambiamenti e dagli uomini e le donne con cui Nan Goldin, dai diciassette anni, ha condiviso il quotidiano. Il racconto spietato e sincero, disperatamente malinconico, attraversa la droga, l’omosessualità, l’alcool, la violenza, e poi la morte per Aids di molti di quei protagonisti, la maternità, la tenerezza del sesso e l’ossessione che si trascina, nascosta.
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