
Nel 1992, sulla rivista scientifica Science, la studiosa Sonja Yoerg evidenziava come sollevare domande sulla questione animale fosse ancora mal visto, a tal punto da distruggere brillanti carriere. Accettare, come ha ampiamente dimostrato l’etologia, che tutti i vertebrati e molti invertebrati siano senzienti e abbiano consapevolezza di sé e degli altri, infatti, ci costringe a rivedere la nostra relazione con gli altri esseri eventi e la nostra posizione nel mondo, destituendo il punto di vista antropocentrico su cui si fonda la metodologia di analisi umana. È l’Antropocene, la prima epoca geologica in cui l’ambiente terrestre viene fortemente condizionato dall’azione umana, che ha destabilizzato l’atmosfera, acidificato gli oceani e ridotto la dimensione e la qualità di ogni habitat. Eppure anche l’uomo è un animale e con gli animali condivide strutture fisiche, abitudini e gran parte della genetica. Fatichiamo ad accettarlo “per due motivi principali”, racconta al Messaggero il biologo statunitense Carl Safina. “Il primo, evidente, è che ci piace considerarci speciali. Il secondo è che, se noi riconoscessimo il diritto all’esistenza e alla vita degli altri animali, ciò che facciamo loro ci metterebbe in una posizione molto sconveniente. Forse perché riconoscendo agli altri una mente è più difficile abusare di loro?”. Rivedere il rapporto con le altre specie, significa prima di tutto cambiare prospettiva e capire quanto loro siano simili a noi, e quanto noi lo siamo a loro.
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