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Perché essere transgender in Italia è ancora un problema

giuspor25


Pur essendo stato acclamato all’ultima edizione del festival di Cannes, Girl, l’esordio registico di Lukas Dhont, in Italia è passato in sordina. Eppure, all’alta qualità stilistica che gli ha permesso di vincere il Camera d’Or e il Queer Palm, si aggiunge il tentativo di rappresentare in modo originale un mondo – quello della comunità transessuale – svincolandosi da qualunque stereotipo. Circondata da sostegno e affetto, la protagonista Lara – impersonata da Victor Polser, al suo debutto e oggetto di non poche controversie – è una ragazza di quindici anni che sogna di diventare un’étoile del balletto e che ha deciso di affrontare il percorso che la porterà alla completa transizione anatomica. Mentre le sue compagne di danza sono già sviluppate, Lara vive così una doppia pubertà, attraversando questo momento di passaggio con grande impazienza.

Quello che la protagonista di Girl vive sullo schermo, migliaia di persone transessuali, in Italia, lo vivono ogni giorno. L’attesa fisiologica in cui gli ormoni sortiscono gli effetti desiderati varia da individuo a individuo, ma il percorso di transizione può essere allungato e reso ancor più difficoltoso dai tempi burocratici. Nel nostro Paese, ad esempio, chi vuole rettificare il proprio sesso anagrafico deve presentare un ricorso al tribunale, mostrando le perizie psicologiche ed endocrinologhe, a cui, se non trovate attendibili, segue la nomina da parte del giudice di uno psichiatra. Fino al 2015, prima di ottenere la modifica dei documenti anagrafici, era necessario anche sottoporsi al cambio di sesso tramite interventi chirurgici, terminati i quali bisognava ricorrere nuovamente al giudice, presentando la cartella clinica, per chiedere la rettifica del sesso e del nome. Oggi è possibile procedere alla richiesta anche senza l’obbligo dell’operazione, ma resta necessaria una dichiarazione dello psichiatra che accerti la disforia di genere e aver iniziato la terapia ormonale, specificando quindi che non si intende modificare i caratteri sessuali primari, ma solo quelli secondari. Il percorso resta comunque psicologicamente ed economicamente complesso. In seguito alla rettifica definitiva, non rimarrà alcuna traccia, se non sull’atto integrale di nascita, circa il sesso e il nome originari del richiedente, a salvaguardia della privacy.

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